IL MANIFESTO

C’è un agire che possiamo riscoprire, a partire da parole che sono scintille per nuovi fuochi, nuove passioni.
Scintille, parole, luci intermittenti.
Lucciole di speranza.
Si, è vero, ci sono ancora delle lucciole, ma scorgerle è difficile.
Fatichiamo ad orientarci perché abbagliati da fasci di luce che accecano, che rendono tristi, pessimisti, negativi.
Le lucciole, come ha scritto qualcuno, sono la testimonianza di qualcosa che non possiamo perdere, delle nostre possibilità.

 

Ma, come sappiamo, quando l’aria diviene inquinata le lucciole se ne vanno. Oggi il nostro paese è inquinato da troppo risentimento che diviene odio sociale, vittimismo, ricerca del capro espiatorio.
E pensare che la Politica potrebbe assumere il compito di diffondere opportunità esistenziali, sia individuali che collettive, al maggior numero di persone.
Per farlo deve creare una “comunità di intenti” attorno a sé, senza dimenticare nessuno, conscia che opportunità e diritti testimoniano della ricchezza della vita, della sua inesauribile energia.
Lo potrebbe fare a partire da un terreno comune a tutti i cittadini, quello della Costituzione italiana. La Costituzione ci rende cittadini, cioè corresponsabili insieme del nostro paese e degli altri. La Costituzione ci rende riconoscibili gli uni agli altri, crea quel quadro comune di regole necessario alla convivenza. È il primo passo del costruirsi come paese. Concittadini non è un’identità (eravamo già italiani prima della Costituzione) ma una scelta democratica. Di questa scelta non scontata, dobbiamo rinnovare le ragioni.

In particolare, alcuni articoli della Carta costituzionale determinano un orizzonte imprescindibile per la politica (comunità nazionale): perché affermano principi che rendono evidenti le possibilità di un’esistenza, di una vita condivisa, di uno sviluppo della personalità che tenga conto delle differenze che ognuno di noi incarna.
Quanti principi costituzionali riguardano la nostra quotidianità?
La Costituzione conferma che noi siamo tante cose, che la molteplicità è ciò che ci caratterizza più di ogni identità. Ci conferma che ogni giorno va rifatta la scelta del convivere tra cittadini, corresponsabili della propria terra e degli altri. La Costituzione richiede uno slancio vitale per un rinnovamento che guardi in alto, che consideri importante per il compimento felice della propria vita anche quella degli altri.
Attraverso i suoi principi, dobbiamo trasformare la sensazione di una insuperabile crisi in forza positiva.
Grazie alla Costituzione e ad una rinnovata Cultura di carattere affermativo, dobbiamo superare la cultura del risentimento, del negativismo a tutti i costi, la cultura che attribuisce sempre agli altri la causa e la colpa di un presente che non ci soddisfa.

Possiamo vivere una quotidianità differente.
Ecco, la quotidianità e la Costituzione, la quotidianità e la politica.
In queste locuzioni si trova un’indicazione nodale per il rinnovamento attraverso una cultura affermativa: invertire la rotta a partire dall’art. 3 della Costituzione come condizione per un’esistenza “ricca”, nel senso di “ricca di opportunità”: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Un programma affermativo: rimuovere gli ostacoli che limitano le nostre libertà, non aumentarli con la costruzione di altri muri tra le persone.
Ed allora, dobbiamo leggere, interpretare e declinare i tanti articoli della Costituzione che riguardano la nostra quotidianità per affermare e riconoscere nuove possibilità dell’esistenza, anche collettiva, di ognuno di noi.
A partire dalla considerazione della diffusa fragilità che caratterizza la nostra quotidianità in un’epoca come questa.
Fragilità fatta di debolezze, paure, impossibilità di relazioni che determinano un atteggiamento inevitabilmente negativo, pessimista e difensivo. Fragilità che normalmente ha una portata escludente rispetto alle opportunità della vita.

Una cultura nuova che valorizzi la differenza rispetto ad una identità escludente, che può diffondere un rinnovato interesse per la fragilità dell’esistenza e dunque per le molteplici forme di vulnerabilità umana, per affermare un nuovo paradigma diffusivo di opportunità.
Occorre allora promuovere un’azione collettiva e non solo individuale, per dare senso alla politica, per conferirle quegli obiettivi che sono descritti negli articoli della Costituzione.
Dobbiamo dirci con chiarezza che ha fallito l’ipotesi secondo la quale se l’economia va bene, si genera automaticamente redistribuzione della ricchezza, si generano nuove opportunità per tutti. È stata questa la teoria turbo-liberista della globalizzazione, in voga negli ultimi anni. Ma non ha funzionato: le risorse si sono sempre più concentrate, le diseguaglianze sono aumentate.

Abbiamo bisogno di una cultura politica di prossimità: meno declamata, più umile, più concreta, che risolve i problemi, che si piega a osservare gli effetti concreti di ciò che produce.
La comunità delle persone in difficoltà richiede che i principi costituzionali diventino frammenti della quotidianità e che muovano tutti con passione verso le conquiste che possono migliorare le nostre vite.
Vogliamo più giustizia sociale e più attenzione alla vita quotidiana. 
Sono due dimensioni indissolubili perché non esistono politiche macro senza che queste siano incorporate nella vita di ogni giorno: le nostre vite e le nostre relazioni sono fatte anche di vicende molecolari.
Servono nuove parole e nuove azioni per declinare gli obiettivi di giustizia sociale nella dignità della vita quotidiana.
Vogliamo un nuovo pensiero, che sia affermativo, a partire dal contributo di chi sta crescendo in un paese troppe volte afflitto dalla cultura del negativo e dell’essere contro gli altri.
Vogliamo agire per trovare nuove soluzioni che aiutino a risolvere i problemi delle persone e delle comunità, per essere attori concreti di progetti di collaborazione e innovazione sociale, per affrontare i problemi dell’abbandono, della solitudine e della insicurezza, del rispetto dell’ambiente senza delegare tutto al ruolo delle istituzioni.
Si tratta di rinnovare in senso positivo la relazione umana che è alla base di una comunità.


Dobbiamo riconsiderare il valore dei beni comuni e il bisogno di affermare la responsabilità della custodia e della generazione dello spazio pubblico.
Lo spazio pubblico è la risorsa per la vita di relazione della comunità.
Vita di relazione che deve poter superare l’angusto perimetro di una società basata sulla competizione individuale, per nuovi legami che aumentino l’autonomia delle persone.
A partire da una cultura della molteplicità affermativa, è necessario un rinnovato coraggio per trovare un nuovo slancio collettivo, magari partendo proprio dalle cose che ci fanno male, dalle solitudini quotidiane.
Dobbiamo guardare davanti a noi: le luci intermittenti di lucciole, che non sono mai scomparse, ci dicono di possibilità esistenziali da raccogliere, da diffondere, da far risuonare.
Allo stesso tempo dobbiamo rivolgerci a ciò che normalmente ci è così vicino da sfuggirci: fare apparire nuovamente il senso affermativo della nostra Costituzione.